Recensione “To the Lake” di Kapka Kassabova sul Letture Del Mondo
To the Lake: A Balkan Journey of War and Peace
l’opera più recente dell’autrice bulgara-neozelandese Kapka Kassabova:
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To the Lake: A Balkan Journey of War and Peace, l’opera più recente dell’autrice bulgara-neozelandese Kapka Kassabova è un racconto sontuoso della vita, della storia e della cultura dei laghi di Ohrid e Prespa, la terra di origine della nonna materna dell’autrice. I laghi, situati nei Balcani meridionali, sono oggi divisi tra gli stati della Macedonia del Nord, l’Albania e la Grecia.
In questa regione poco percorsa dal turismo ma di grande fascino, le incursioni della storia sono state tante e spesso talmente drammatiche che persino i giovani si fidano più della natura – per quanto mutevole, talvolta anche ostile, almeno la si può conoscere – che non di ciò che risulta essere poco più del frutto dei capricci di uomini avari.
I laghi “contengono moltitudini”: frutteti lussureggianti e armi; bellezze mozzafiato e cruente leggi ancestrali; icone sacre ed incidenti impensabili. Così anche i popoli dei laghi, nel tempo, sono confluiti e fluiti l’uno sull’altro, assorbendosi a vicenda, dando luogo a nuovi equilibri e, così, ad una nuova identità. “Noi siamo la gente del lago” è un sentimento che ricorre spesso nel libro, un anelito contro le innumerevoli divisioni fratricide imposte nei secoli su persone che, molto semplicemente, desiderano solo vivere la loro vita.
Ai nostri giorni, le divisioni sono causate dai confini degli Stati-nazione. La Kassabova sfata il mito – ultimamente sempre più gettonato – dei confini come dati di fatto, eterne conferme di un’omogeneità demografica al loro interno. Anzi: nell’analisi dell’autrice, i confini sono creature mutevoli ed arbitrarie. Che siano l’esito di una fortunata campagna militare o degli scarabocchi dell’ultim’ora di uomini potenti, le loro conseguenze sono comunque assurde. Forse, lo sono ancora di più, soprattutto quando vengono imposti in un territorio che “da tempo immemore ospita una diversità polifonica”.
L’autrice smantella questo schema in un modo solo apparentemente semplice: raccontando le storie delle persone che abitano nelle zone di confine, con lo sguardo sensibile e allo stesso tempo potente che la caratterizza, ritraendone abilmente l’essenza. Così, conosciamo i camerieri che fuori dal lavoro scrivono poesie; l’imprenditore che ha fatto fortuna all’estero ma sente il bisogno di tornare sulle sponde del lago, alla ricerca di una parte di se stesso che trova solo qui; il guardiano saggio e pacifico di un monastero. La Kassabova ci racconta storie di guerra e di strazi, ma anche storie di pace, di miracoli e di riscatto – anche se spesso quest’ultimo arriva solo con l’emigrazione o con l’esilio, anch’essi a loro volta fonti di divisione e traumi.
La Kassabova aveva già affrontato il tema dell’interazione tra la storia, la natura e l’umanità in Confine: Viaggio al termine dell’Europa, le sue cronache di viaggio dalla regione montuosa tra Bulgaria, Grecia e Turchia. In quel libro, del 2017, i confini nazionali risultano assurdi dalla loro contrapposizione alle enormi barriere naturali delle montagne; in To the Lake, invece, dal fatto che sono tracciati sull’acqua – l’elemento liquido per definizione. To the Lake approfondisce anche un’altra prospettiva, dato che l’ulteriore motivo per il viaggio dell’autrice era quello di capire il popolo del lago e, così, i suoi antenati: la relazione tra i muri esterni e quelli che alziamo dentro di noi, come si fortificano e si costruiscono a vicenda. Tuttavia, proprio questo nesso significa che possiamo spezzare la catena, evitando di diventare “inconsapevoli agenti di distruzione”, se solo saniamo le divisioni dentro di noi.
To the Lake è una dedica bellissima e appassionante ad una terra senza tempo. Soprattutto ai giorni nostri, in cui le barriere e le divisioni di ogni tipo purtroppo stanno tornando in auge, l’opera ci ricorda che se conosciamo l’Altro, attraverso il semplice atto di ascoltare le sue storie, possiamo ritrovare l’unità tra di noi, lo stato naturale che, anche se recondito, scorre inesorabile, proprio come i fiumi sotterranei tra i laghi di Ohrid e Prespa. Perché “il mondo, se lo lasciamo fare, è unito”.
To the Lake: A Balkan Journey of War and Peace, the latest work by Bulgarian-New Zealander author Kapka Kassabova, is a rich account of Ohrid and Prespa, two lakes in the Southern Balkans that are now divided between North Macedonia, Albania and Greece.
In this little-visited but fascinating region, the homeland of Kassabova’s maternal grandmother, the tides of history have washed over often, mostly with such terrible consequences that even the youth trust nature over history: this environment may be mutable and potentially hostile, but it is knowable – far better than the whims of greedy men.
The lakes “contain multitudes” – lush orchards and weapons, beauty and bloody ancestral laws, sacred icons and freak accidents. So too its peoples flow and absorb one another, striking new balances over time and giving rise to a unique identity in the process. Variations of the refrain “we are lake people” resounds often throughout the book, a plea against the myriad fratricidal divisions imposed over the centuries on people who just want to live their lives.
Today, division takes the form of nation-States’ borders. Kassabova essentially explodes the increasingly popular myth of national borders as “given” and eternal certifiers of demographic uniformity. Far from it: in her hands, borders are mutable, arbitrary creatures. Still, whether they arise due to chance military outcome or late-night napkin politicians’ scribbles, their consequences are no less senseless – maybe even more tragic, especially in a peninsula that “had long housed a polyphonic, sometimes cacophonous, diversity”.
This dismantling takes place in a deceptively simple way: telling the stories of the people who live in the borderlands, ably drawing out the essence of their humanity in her tender, powerful prose. The waiters who write poetry. The businessman who made a fortune abroad but is compelled to return because he was looking for a part of himself that he could only find by the lake. The peaceful, all-seeing guardian of a monastery. These are stories of war and loss, but also peace, miracles and redemption, although the latter often comes at the cost of migration or exile – yet another form of division and trauma.
Kassabova also explored the topic of the interplay between history, nature and humanity in Border: A Journey to the End of Europe, the 2017 chronicles of her travels in the mountainous region between Bulgaria, Greece and Turkey. In that work, the absurdity of national boundaries is revealed by opposing them to the mammoth barriers built by nature; in To the Lake, this is achieved by the fact that the borders are fixed over water, the fluid element by definition. To the Lake also deepens another perspective, as another reason for Kassabova’s journey is to understand the lake’s people and therefore her ancestors: the link between outside barriers and the walls we build inside, how they bolster and amplify each other. However, she shows, precisely this link means that we can break the cycle and avoid becoming “unwitting agents of destruction”, if only we heal the rifts within us.
To the Lake is a beautifully crafted labour of love dedicated to a timeless land, and it was a true joy to savour its many facets. And at a time when barriers and divisions of all sorts are unfortunately regaining currency, it reminds us that by knowing the Other, simply by hearing their stories, we can recover the unity between us. While this may be hidden, it runs nonetheless, like the underground rivers between Ohrid and Prespa. Because the “world, when left alone, is one”.
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